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Notizie dalla Liguria

Professioni sanitarie. Firmato il decreto attuativo che istituisce i nuovi albi

Decreto attuativo della legge n. 3 del 2018

È stato firmato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin il primo decreto attuativo della legge n. 3 del 2018, meglio conosciuta come la legge che ha riformato il sistema ordinistico delle professioni sanitarie in Italia. Si tratta del decreto che istituisce gli albi delle 17 professioni sanitarie, fino ad oggi regolamentate e non ordinate, che entreranno a far parte dell’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

Dalla privacy alla cybersecurity, le strutture cercano nuove figure

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana, in grado di tutelare la privacy e i dati sanitari dei pazienti, o difendere le strutture dai cyberattacchi informatici. La sanità sta cambiando volto, anche quella privata. "Con l'espansione del settore delle cure per gli anziani, negli ospedali e nelle Rsa queste figure tradizionali sono molto richieste. Ma accanto a loro vediamo anche emergere la domanda di professionalità nuove, con competenze trasversali". Parola del direttore generale di Aiop, Filippo Leonardi, che con l'Adnkronos Salute fa il punto sulle professioni più gettonate dalle aziende e dai gruppi del settore nel nostro Paese.
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Notizie Aiop Nazionale

Diverse finalità della recidiva nel procedimento disciplinare
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Diverse finalità della recidiva nel procedimento disciplinare

Cass. Civ. Sez. Lav. ordinanza n. 8358 del 30 marzo 2025.

 

Sonia Galozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale

L’ordinanza in commento affronta il caso di un dipendente licenziato per diversi inadempimenti e insubordinazioni sul lavoro. Il Tribunale di Napoli, sul rilievo che le violazioni contestate fossero riconducibili ad ipotesi per le quali il codice disciplinare aziendale prevedeva la sanzione della sospensione dal lavoro e non quella espulsiva e che apparisse sproporzionato il licenziamento rispetto all'entità dei fatti addebitati aveva accolto il ricorso del lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento disciplinare e ordinando alla società la reintegrazione nel posto di lavoro. La Corte di appello confermava tale valutazione, evidenziando pure che la contestazione della recidiva era priva dei caratteri della specificità, essendosi la società limitata a indicare le date dei provvedimenti disciplinari senza specificare gli episodi cui gli stessi si riferivano; inoltre i due provvedimenti disciplinari non erano definitivi al momento dell'adozione del licenziamento essendola prima pendente in sede conciliativa e la seconda confermata da una sentenza del Tribunale di Napoli tuttavia gravata dinanzi alla Corte d'Appello. La Corte osservava poi come i precedenti sette procedimenti disciplinari (risalenti agli anni 1999-2017) menzionati nel licenziamento disciplinare non fossero stati contestati nella precedente lettera di contestazione, in violazione del principio di immodificabilità della contestazione e che, in definitiva, i fatti contestati rapportati al codice disciplinare aziendale, erano riconducibili alle ipotesi tipiche previste per la sanzione conservativa della sospensione.

La Cassazione, ribaltando la pronuncia della Corte territoriale, ha invece ritenuto legittimo il licenziamento, fornendo interessanti spunti in ordine all’istituto della recidiva.

Nello specifico, gli Ermellini hanno innanzitutto rilevato che “non si rileva la genericità riscontrata dalla corte di appello poiché risulta presente il riferimento non solo alla data delle due contestazioni precedenti ed al numero di protocollo interno, ma anche alla natura delle condotte ("precedente specifico per il medesimo comportamento") nonché al tipo di sanzione inflitta (provvedimento disciplinare di 10 giorni di sospensione), tutti elementi rilevanti anche luce delle difese svolte dal lavoratore, nel senso della sufficiente specificità del richiamo. Inoltre neppure corretto appare il rilievo che ridimensiona la portata della contestazione della recidiva alla luce della non definitività del giudizio di impugnazione dei relativi provvedimenti. Ed infatti, anche riguardo a tale aspetto, la sentenza non si confronta con la giurisprudenza di questa corte che ha chiarito, da tempo, come l'istituto della recidiva presenta caratteri autonomi rispetto all'istituto regolato dal diritto penale, costituendo espressione unilaterale di autonomia privata del datore di lavoro, in relazione alla quale l'impugnazione da parte del lavoratore sanzionato è solo eventuale e, in ogni caso, non costituisce causa di sospensione della sua efficacia (cfr. più recentemente Cass. n. 17685/2018)”

Quanto poi all’omessa inclusione dei sette risalenti procedimenti disciplinari nella contestazione, si legge in ordinanza come “la corte di appello, in generale, non abbia considerato la giurisprudenza di questa corte, secondo cui "la preventiva contestazione dell'addebito al lavoratore incolpato deve necessariamente riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva e i precedenti disciplinari che la integrano, solo quando la recidiva medesima rappresenti un elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già un mero criterio, quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l'infrazione disciplinare commessa" (cfr. Cass. 1909 del 25/01/2018). […] La Corte di merito, nell'escludere la rilevanza dei riferimenti alle sette precedenti sanzioni disciplinari, dunque non considera che tali richiami assumono rilievo nella lettera di licenziamento non già quale presupposto della condotta da sanzionare bensì quale elemento da valutare ai fini della legittimità e proporzionalità del licenziamento (considerazioni che, in disparte la già evidenziata sufficiente specificazione della contestazione, possono comunque valere anche per le recidive più recenti di cui al primo motivo)”.

Per tali motivi, in accoglimento del ricorso proposto dalla società, la Suprema Corte ha ritenuto pienamente legittimo il licenziamento così come operato.

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