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Notizie dalla Liguria

Riprende il dialogo Aiop-Aris con le Organizzazioni Sindacali

Il rinnovo del Contratto nazionale del personale non medico, che opera nella componente di diritto privato del Ssn è, da sempre, un’assoluta priorità per Aiop e Aris, e non è mai stato messo in discussione, nel rispetto dei legittimi interessi delle parti. A seguito dell’improvvisa interruzione delle trattative, avvenuta il 27 gennaio scorso, Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop e Padre Virginio Bebber, Presidente nazionale Aris, hanno avviato immediati contatti con tutti gli interlocutori istituzionali, ribadendo l'assoluta volontà di rispettare gli impegni assunti nei confronti degli oltre 100mila lavoratori che ogni giorno, con grande professionalità, consentono agli italiani di avere una risposta alla propria domanda di salute, tenuto conto delle esigenze delle strutture rappresentate.

Il cammino verso il rinnovo del CCNL del personale non medico ha compiuto un nuovo passo in avanti

Forte segnale di responsabilità da parte dell’Assemblea AIOP

L’Assemblea generale dell’Aiop, convocata a Roma il 22 gennaio u.s., per esprimersi sul tema del rinnovo del CCNL, ha ribadito la volontà di definire, in tempi rapidi, l’intesa per il rinnovo del contratto del personale non medico della componente di diritto privato del Ssn, nel rispetto degli accordi e dei risultati con le Istituzioni e le Organizzazioni sindacali.
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Notizie Aiop Nazionale

Legittimo il licenziamento di un infermiere che rifiuta di eseguire le prestazioni nei confronti di un paziente sulla base di una propria valutazione di contagio
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Legittimo il licenziamento di un infermiere che rifiuta di eseguire le prestazioni nei confronti di un paziente sulla base di una propria valutazione di contagio

Cass. Civ. Sez. lavoro ordinanza n. 24562 del 5 settembre 2025.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale

La recente pronuncia in commento affronta il caso di un infermiere, dipendente di una struttura privata accreditata operante in regime di riabilitazione estensiva, il quale aveva rifiutato di somministrare terapie salvavita a un paziente infetto da Acinetobacter Baumanniii, adducendo carenze nei dispositivi di protezione individuale (DPI) e presunti rischi equiparabili al contagio da Covid-1, come da questi dedotto per essersi documentato su internet. La struttura contestava altresì la diffusione di informazioni allarmistiche e non verificate, l’utilizzo improprio del cellulare durante il turno per effettuare ricerche su internet rispetto al virus e il turbamento dell’ordine e della serenità operativa. La società procedeva quindi con il licenziamento per giusta causa. A seguito di impugnativa da parte del lavoratore, il Tribunale di primo grado annullava il licenziamento, decisione che veniva integralmente riformata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, avendo ritenuto gravissima l’inadempienza e conseguentemente giustificato il recesso per giusta causa. Avverso tale sentenza, il dipendente proponeva ricorso in Cassazione, lamentando, nel merito, la violazione degli artt. 18 e 20 del D.lgs. 81/2008.

La Cassazione, nel confermare la sentenza di secondo grado, effettua una interessante disquisizione sul citato art. 20 D.lgs. 81/2008, norma che disciplina gli obblighi del lavoratore in materia di salute e sicurezza, chiarendo innanzitutto che “Il potere/dovere di segnalazione dei rischi è funzionale all’adempimento dell’obbligazione lavorativa, ma non legittima un’autonoma sospensione della prestazione in assenza di un riscontro oggettivo e documentato dell’inidoneità dei mezzi di protezione”. Ed infatti specifica la Corte che le attività sanitarie sono tipicamente esposte a rischio di malattia e, per tale motivo, vi sono appositi protocolli di sicurezza, sicché tale atteggiamento del lavoratore può avere, come si comprende, serie ricadute sull’esecuzione del suo personale lavoro, ma anche su quello degli altri lavoratori con conseguenze sulla salute degli assistiti e danni patrimoniali per l’azienda che potrebbe essere chiamata a rispondere di condotte omissive dei propri dipendenti. E’ escluso quindi che “l’infermiere professionale inserito in una struttura possa, senza interloquire con il superiore (caposala) e il personale medico, che in ogni caso sovraintende alla corretta gestione dei protocolli (che si basano in ogni caso su letteratura scientifica), affermare autonomamente l’esistenza di una “oggettiva condizione di pericolosità da contagio nella ipotesi di contatto non adeguatamente fronteggiato con misure preventive e dispositivi””. Ciò ancor più se si considera che “gli infermieri, come gli altri lavoratori chiamati ad operare nel settore sanitario, sono titolari di una posizione di garanzia/protezione nei confronti dei cittadini che devono poter contare sul pronto ed adeguato intervento di tali soggetti a tutela della loro salute e, in ultima analisi della loro stessa vita”.

Ciò detto, la Suprema Corte, avendo rilevato che, nel caso specifico, nessuna prova era stata offerta dal lavoratore circa una sua effettiva richiesta di DPI supplementari o una risposta negativa del datore; che il comportamento si era tradotto in una autovalutazione soggettiva di pericolo, non fondata su evidenze mediche o su un confronto con le figure gerarchiche (caposala o medico); che il rifiuto di prestazione aveva rappresentato un inadempimento essenziale, incompatibile con la natura sanitaria dell’attività e con il dovere di diligenza ex art. 2104 c.c. e che il lavoratore aveva agito in violazione delle disposizioni interne sul corretto uso dei dispositivi, interferendo con la gestione organizzativa della struttura sanitaria, ha rigettato il ricorso proposto dall’ex dipendente, confermando la piena legittimità dell’operata risoluzione.

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