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Diverse finalità della recidiva nel procedimento disciplinare
Cass. Civ. Sez. Lav. ordinanza n. 8358 del 30 marzo 2025.
Sonia Galozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale
L’ordinanza in commento affronta il caso di un dipendente licenziato per diversi inadempimenti e insubordinazioni sul lavoro. Il Tribunale di Napoli, sul rilievo che le violazioni contestate fossero riconducibili ad ipotesi per le quali il codice disciplinare aziendale prevedeva la sanzione della sospensione dal lavoro e non quella espulsiva e che apparisse sproporzionato il licenziamento rispetto all'entità dei fatti addebitati aveva accolto il ricorso del lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento disciplinare e ordinando alla società la reintegrazione nel posto di lavoro. La Corte di appello confermava tale valutazione, evidenziando pure che la contestazione della recidiva era priva dei caratteri della specificità, essendosi la società limitata a indicare le date dei provvedimenti disciplinari senza specificare gli episodi cui gli stessi si riferivano; inoltre i due provvedimenti disciplinari non erano definitivi al momento dell'adozione del licenziamento essendola prima pendente in sede conciliativa e la seconda confermata da una sentenza del Tribunale di Napoli tuttavia gravata dinanzi alla Corte d'Appello. La Corte osservava poi come i precedenti sette procedimenti disciplinari (risalenti agli anni 1999-2017) menzionati nel licenziamento disciplinare non fossero stati contestati nella precedente lettera di contestazione, in violazione del principio di immodificabilità della contestazione e che, in definitiva, i fatti contestati rapportati al codice disciplinare aziendale, erano riconducibili alle ipotesi tipiche previste per la sanzione conservativa della sospensione.
La Cassazione, ribaltando la pronuncia della Corte territoriale, ha invece ritenuto legittimo il licenziamento, fornendo interessanti spunti in ordine all’istituto della recidiva.
Nello specifico, gli Ermellini hanno innanzitutto rilevato che “non si rileva la genericità riscontrata dalla corte di appello poiché risulta presente il riferimento non solo alla data delle due contestazioni precedenti ed al numero di protocollo interno, ma anche alla natura delle condotte ("precedente specifico per il medesimo comportamento") nonché al tipo di sanzione inflitta (provvedimento disciplinare di 10 giorni di sospensione), tutti elementi rilevanti anche luce delle difese svolte dal lavoratore, nel senso della sufficiente specificità del richiamo. Inoltre neppure corretto appare il rilievo che ridimensiona la portata della contestazione della recidiva alla luce della non definitività del giudizio di impugnazione dei relativi provvedimenti. Ed infatti, anche riguardo a tale aspetto, la sentenza non si confronta con la giurisprudenza di questa corte che ha chiarito, da tempo, come l'istituto della recidiva presenta caratteri autonomi rispetto all'istituto regolato dal diritto penale, costituendo espressione unilaterale di autonomia privata del datore di lavoro, in relazione alla quale l'impugnazione da parte del lavoratore sanzionato è solo eventuale e, in ogni caso, non costituisce causa di sospensione della sua efficacia (cfr. più recentemente Cass. n. 17685/2018)”
Quanto poi all’omessa inclusione dei sette risalenti procedimenti disciplinari nella contestazione, si legge in ordinanza come “la corte di appello, in generale, non abbia considerato la giurisprudenza di questa corte, secondo cui "la preventiva contestazione dell'addebito al lavoratore incolpato deve necessariamente riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva e i precedenti disciplinari che la integrano, solo quando la recidiva medesima rappresenti un elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già un mero criterio, quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l'infrazione disciplinare commessa" (cfr. Cass. 1909 del 25/01/2018). […] La Corte di merito, nell'escludere la rilevanza dei riferimenti alle sette precedenti sanzioni disciplinari, dunque non considera che tali richiami assumono rilievo nella lettera di licenziamento non già quale presupposto della condotta da sanzionare bensì quale elemento da valutare ai fini della legittimità e proporzionalità del licenziamento (considerazioni che, in disparte la già evidenziata sufficiente specificazione della contestazione, possono comunque valere anche per le recidive più recenti di cui al primo motivo)”.
Per tali motivi, in accoglimento del ricorso proposto dalla società, la Suprema Corte ha ritenuto pienamente legittimo il licenziamento così come operato.